Giorno dopo giorno, ci troviamo ad assistere impotenti alla prova di resistenza e di coraggio del popolo siriano, dilaniato dalla ferocia della tirannia.
All’eroismo di una popolazione che resiste disarmata, sola e senza prospettiva di aiuto esterno, si contrappone l’abominio di un regime che, in faccia al mondo, macella la propria gente, convinto di uscirne impunito perché spalleggiato dagli interessi di grandi potenze. Siamo in una valle tetra di morte e solitudine dove non c’è posto per la speranza, tornano alla mente le parole di Ğubrān Ḫalīl Ğubrān:
Nella valle dell’ombra della vita, lastricata di crani e ossa, ho camminato solo in una notte in cui la nebbia nascondeva le stelle e il terrore pervadeva la quiete.
Se per spiegare il pessimismo del testo, da cui è tratta questa citazione, bisogna pensare alle drammatiche esperienze personali dell’autore e ai terribili eventi che contrassegnarono le vicende mondiali nei primi decenni del XX secolo, sconvolge che questa visione sia ancora attuale nella terra d’origine dello scrittore. E la realtà è ben raffigurata, ora come un tempo, dalla giustapposizione di luce e ombra, propria di Ğubrān, volta a simboleggiare lo spirito che, pur gravato dalle brutture e dai limiti del mondo, non cessa di tendere alla verità.
I toni degli scrittori arabi del Novecento sono apparsi spesso cupi, eccessivi, con figure di protagonisti senza sfaccettature, interamente positivi o interamente negativi, che avrebbero esclusivamente la funzione di supportare le tesi insite nel discorso dell’autore e solo quando, come in questi giorni, la crudezza di una realtà, che spesso non si vuol vedere, ci si svela, si capisce che quel tipo di rappresentazione è specchio di una società che ha in sé contrasti estremi.
Ombra e luce, luce e ombra, sperando che la luce prevalga, con il canto di uno di suoi maggiori poeti, Ğubrān Ḫalīl Ğubrān, intendiamo ricordare la grande civiltà del popolo siriano che resterà, oltre il buio di questo tempo.
La morte sulla terra, per la creatura terrena, è fine,
per lo spirito, è inizio e trionfo.
Chi nei suoi sogni abbraccia l’aurora,
sopravvive, chi dorme tutta la notte, si eclissa.
Chi lega alla terra la condizione del suo risveglio,
stringerà la polvere fino allo spegnersi delle stelle.
La morte è come il mare, chi non è gravato da pesi
lo attraversa, colui che se ne grava affonda.
Non vi è nelle foreste morte no, né vi sono tombe.
Quando aprile trascorre non muore con esso la gioia.
Il terrore della morte è uno spettro celato nelle pieghe dell’animo.
E colui che vive una primavera è come vivesse secoli.
Dammi il flauto e canta! Il canto è il segreto dell’eternità.
E il lamento del flauto resta dopo che cessa l’esistenza.
Pieralberta Viviani
NOTE:
Condividiamo l’appello che nei giorni scorsi l’associazione Globo11 http://www.glob011.com/autori ha inviato, affinché siano diffuse le opere di poeti siriani per “esprimere solidarietà contro la repressione che si è abbattuta sul paese e per mantenere viva l’attenzione.”
Ğubrān Ḫalīl Ğubrān (1883-1931) è uno dei maggiori esponenti della letteratura di emigrazione siro-libanese che fiorì in America. La sua opera narrativa e poetica ha fortemente contribuito a costituire la nuova sensibilità e la nuova forma che segnano il passaggio dalla letteratura araba tradizionale alla letteratura araba moderna.
Le liriche riprodotte sono tratte e tradotte rispettivamente dal racconto "Ḥaffār al-qubūr" (Lo scavatore di fosse) e da "al-Mawākib" (Le processioni).