La riflessione dello scrittore egiziano Nağīb Maḥfūẓ (1911-2006), sull’uomo e sul suo posto nel mondo, passa attraverso l’analisi dei meccanismi che condizionano l’aggressività e che scatenano la violenza, nel privato e nella società. L’autore parla in vari modi di questo aspetto della vita nella sua opera: la violenza presente nella storia delle società umane, la violenza nei rapporti interpersonali, la violenza delle pulsioni e dei sentimenti, il fanatismo come aspetto estremo della passione politica e religiosa, la disperazione della miseria che fa fare violenza sul proprio corpo, la tirannia di un regime che opprime i cittadini nelle forme più diverse, la violenza come risposta alla violenza subita o al tradimento, vero o supposto; lo scrittore considera anche l’idea del crimine inteso come atto di giustizia. L’incalzare della narrazione nei romanzi di Maḥfūẓ si risolve, a volte, in un delitto. L’esser stato testimone della storia del Novecento, che ha visto in essere atrocità inimmaginabili nelle diverse parti del pianeta, ha certo indotto l’autore a concentrare la sua attenzione su questo particolare aspetto della natura e della storia umana e anche se i suoi racconti si situano in Egitto il loro messaggio e significato è emblematico e universale. Per quanto riguarda l’Egitto se la prima metà del ventesimo secolo era stata combattuta, difficile e piena di conflitti, la seconda produsse contraddizioni ancora più laceranti, proprio nel momento in cui sembrava possibile realizzare le aspirazioni di lunghi anni di lotta. In questo Paese, gli anni Cinquanta del secolo scorso vedono l’ascesa al potere di Ğamāl ‘Abd al-Nāṣir, con la sua opera prende forma il socialismo arabo. La nazionalizzazione del canale di Suez, l’avvio della ridistribuzione delle terre, le nazionalizzazioni, le grandi opere pubbliche e le riforme sociali suscitano da un canto consenso e dall’altro forti contrasti; cresce un partito unico che, per affermarsi, chiude progressivamente gli spazi dell’opposizione. Agli intellettuali viene chiesto di contribuire a sostenere il governo e i suoi piani, esprimere dissenso è estremamente rischioso e alcuni optano per il silenzio. In letteratura lo scontento prende forma con l’emergere della corrente che si definisce “sperimentale” che si caratterizza per il linguaggio allusivo e simbolico, le atmosfere cupe, per la percezione di frustrazione e di scacco dei personaggi, per il senso di persecuzione e di pericolo incombente. Il saggio completo in due parti di Pieralberta Viviani si può scaricare qui sotto in formato pdf.